di Andrea Lisi
[dropcaps style=”fancy”]A[/dropcaps]bbiamo già lungamente riflettuto nei numeri precedenti su quanto la digitalizzazione debba essere considerata un fenomeno ad ampio raggio che coinvolge diversi ambiti della nostra vita privata e professionale e che riguarda, possiamo affermarlo, tutte le categorie, nessuna esclusa: dal comune cittadino al dipendente della pubblica amministrazione, dall’imprenditore al professionista, nessuno può sentirsene davvero chiamato fuori.
I professionisti in particolare (penso agli avvocati, ai commercialisti, ai consulenti del lavoro) devono fare necessariamente i conti con l’utilizzo degli strumenti ICT, anche perché gestiscono una quantità di documenti dei loro clienti (ormai non solo cartacei) sulla quale hanno diretta responsabilità.
Proprio per valutare la diffusione dell’uso degli strumenti ICT negli studi professionali la School of Management del Politecnico di Milano ha istituito un apposito Osservatorio (Osservatorio ICT e Professionisti) con lo scopo specifico di conoscere le tecnologie informatiche e digitali oggi utilizzate dagli studi di professionisti, far emergere i nuovi modelli organizzativi e di offerta, evidenziare le aree di continuità tra le diverse professioni, stimolando l’offerta a fornire soluzioni interoperabili, che consentano di far dialogare con semplicità professionisti e imprese.
In base agli ultimi risultati diffusi dall’Osservatorio si evidenzia come i professionisti italiani siano interessati all’ICT e siano consapevoli dei vantaggi che l’uso degli strumenti tecnologici può apportare alla loro attività. In particolare tra le tecnologie più diffuse, si segnalano la firma digitale (nel 78% dei casi) e l’home banking (76%), seguite dai software di gestione elettronica documentale (46%) e poi, in misura minore, il sito Internet “vetrina” (21%), l’e-learning (20%) e il controllo di gestione per lo studio (19%). La diffusione delle nuove tecnologie tra i professionisti, però, appare ancora limitata, anche a causa della crisi economica che riduce le risorse da poter investire in questo settore.
Ma, come accennavamo prima, a prescindere dalle inclinazioni al cambiamento o dalla liquidità a disposizione, i professionisti oggi devono comunque fare i conti con la gestione di una mole crescente di documenti digitali (più o meno “nativi digitali”) inviati e ricevuti via PEC e devono decidere se curarne la conservazione in prima persona o affidarsi a un conservatore in outsourcing.
È facile prevedere quindi che non ci sia per i professionisti molta libertà di scelta: forse potranno rimandare ancora di un altro po’ il cambiamento (molto poco), ma alla fine dovranno digitalizzarsi, seguendo il flusso che ormai investe tutta la società per intero, flusso dal quale, considerata la loro attività e le relazioni che il loro lavoro li porta naturalmente a istituire, è ancora meno possibile estraniarsi.
Rispetto a questa necessità risulta ancora più stridente la scelta del Ministero della Giustizia che ha messo a punto un regolamento – inviato qualche settimane fa al Consiglio Nazionale Forense e al Consiglio di Stato per i relativi pareri – che attua la figura dell’avvocato specialista.
Leggendo il decreto la grande sorpresa è che c’è spazio per tutti gli ambiti legali possibili, anche quelli di rilevanza “minore” o quanto meno di relativo impatto evolutivo (diritti reali, condominio e locazioni, diritto dell’esecuzione forzata e delle procedure concorsuali, diritto della responsabilità civile per danni a cose e persone…), ma non per il diritto dell’informatica. E c’è da stupirsi ancor di più di questa incredibile e ingombrante “dimenticanza”, se si ricorda che dal 30 giugno 2014, in tutti i procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione di competenza del tribunale, il deposito di atti processuali e documenti dei difensori delle parti dovrà essere effettuato esclusivamente in modo telematico.
A quanto pare quindi l’informatica, Internet, la Società dell’informazione sembrano non meritare attenzione e non meritare, soprattutto, una preparazione legale specifica che invece, a parere di chi scrive, è fondamentale.
Il diritto non può continuare a disinteressarsi dei cambiamenti della società e delle nuove consuetudini, non accettarle, non accoglierle, non comprendere che non governare con fermezza questa fase di passaggio vuol dire lasciarla in balia del caos e dell’incompetenza.
C’è invece un estremo bisogno di professionisti che conoscano bene e a fondo la normativa in vigore in materia digitale, che sappiano attuare correttamente i nuovi processi, usare i nuovi strumenti e che possano validamente sostenere una PA o un’azienda che vuole (o deve) intraprendere un percorso di digitalizzazione a norma.
Il grimaldello per aprire le porte all’Agenda Digitale è invece proprio la formazione: formazione del dipendente pubblico che deve operativamente applicare i dettami del CAD, formazione del professionista che deve supportare la PA, l’impresa o il semplice cittadino nei nuovi processi digitali, formazione del semplice cittadino che deve conoscere bene i propri diritti digitali e saperli mettere in pratica, e in ultimo (the last but not the least) formazione corretta e specializzata delle nuove figure professionali rese ormai obbligatorie dalla nuove Regole tecniche sulla conservazione dei documenti digitali (DPCM 3 dicembre 2014 pubblicato in G.U. n. 59 del 12 marzo 2014 e in vigore a partire dal trentesimo giorno successivo alla data di pubblicazione): il Responsabile della Conservazione digitale e il Responsabile del Trattamento dati, due professionisti IT la cui presenza è ormai obbligatoria per tutti gli enti pubblici e le aziende che gestiscono documenti informatici e fatturano elettronicamente e per i quali l’associazione ANORC Professioni ha aperto (prima in Italia) dei Registri nazionali proprio allo scopo di assicurare loro rappresentanza, riconoscimento professionale e formazione continua.
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